V: Come un re diede al suo giovane figlio l’incarico di provvedere una risposta agli ambasciatori della Grecia

C’era un re d’Egitto che ebbe un figlio primogenito destinato a succedergli al trono. Fin dalla più tenera età cominciò a farlo educare così bene da una torma di vecchioni sapienti che quando compiè quindici anni, non aveva visto neanche l’ombra di un’infanzia vera.

Un giorno il padre gli diede l’incarico di rispondere in sua vece a certi ambasciatori della Grecia. Il tempo era cattivo. Pioveva. E il giovane, alzandosi su una ringhiera per rispondere agli ambasciatori, volse gli occhi per una finestra del palazzo e vide altri giovani che giocavano: incanalavano l’acqua piovana e costruivano dighe e mulini di paglia. Il giovane piantò subito il discorso, si scapicollò giù per le scale del palazzo, raggiunse gli altri ragazzi che raccoglievano la pioggia, e cominciò anche lui a fare il giochino dei mulini. Un esercito di consiglieri e funzionari gli corse dietro, e tutti insieme lo riportarono al palazzo. La finestra fu chiusa, e il giovane finì la risposta che doveva dare agli ambasciatori.

Dopo l’udienza, quando il pubblico era partito, il padre radunò filosofi e luminari di tutte le scienze, e gli propose il caso del figlio. Qualcuno degli scienziati proponeva per uno squilibrio ormonale, qualcun altro per un cedimento psichico: uno parlava di lesioni cerebrali, e chi ne diceva una e chi un’altra, secondo la scienza in cui erano specialisti. Alla fine un filosofo domandò:
«Com’è stato allevato questo giovane?».
Gli raccontarono che era stato educato tra sapienti e anziani, lontano da ogni bamboleggiamento. Poi disse il saggio:
«E vi meravigliate se la natura reclama ciò che ha perduto? Da giovani bisogna divertirsi: per pensare c’è la vecchiaia».

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