II: Federico e il Prete Giovanni

Il Prete Giovanni, nobilissimo capo di stato indiano, mandò, con la debita pompa magna, una nobile ambasceria al nobile e potente imperatore Federico, quello che tutti consideravano un modello di lingua e di virtù, e che in effetti lo fu, perché amava il linguaggio raffinato e si sforzava sempre di dare risposte ponderate. L’ambasceria aveva un doppio scopo semplice: scoprire a tutti costi se l’imperatore era davvero tanto sapiente (1) nell’uso delle parole e (2) nei fatti.
Il Prete Giovanni consegnò agli ambasciatori tre pietre preziosissime e disse:
«Portatele in regalo all’imperatore e chiedetegli da parte mia che vi dica quale è la cosa migliore che c’è al mondo. Registrerete per filo e per segno [cioè, completamente] quello che dice e come risponde, osserverete bene tutti i comportamenti e le abitudini della sua corte e poi me ne farete un resoconto dettagliato, senza omissioni».

Quando gli ambasciatori arrivarono dall’imperatore, lo salutarono con tutte le cerimonie richieste dalla sua imperiale maestà e dal rango del suddetto signore, gli fecero omaggio delle succitate gemme, e lui le prese ma non domandò di quali proprietà fossero dotate: le fece subito mettere via nel tesoro, continuando a ripetere che erano stupende.
Gli ambasciatori fecero la loro domanda, videro la corte, rilevarono gli usi e i costumi, poi, dopo pochi giorni, chiesero congedo.
L’imperatore, che intanto si era preparato la risposta, disse:
«Da parte mia, dite al vostro sovrano che la cosa migliore di questo mondo è la moderazione».

Gli ambasciatori andarono a riferire tutto quello che avevano visto e sentito, raccontando un gran bene della corte dell’imperatore, dove lo sfarzo massimo era l’eleganza, e lodando anche le belle maniere dei suoi cavalieri.
Nel sentire le cose che raccontavano gli ambasciatori, il Prete Giovanni elogiò l’imperatore ma disse che era molto saggio a parole, mica nei fatti: perché non aveva domandato quali miracolosi qualità rendessero tanto preziose le pietre. Quindi gli rimandò gli ambasciatori, con l’offerta di assumerlo alla corte come maggiordomo. E gli fece descrivere quanto era ricco lui, e quante diverse genti teneva in suo dominio, e come governava il suo paese.

Non molto tempo dopo, pensando con le gemme regalate all’imperatore erano più che sprecate in mano ad uno che non ne conosceva il valore, il Prete Giovanni prese un suo gemmologo di fiducia e lo mandò in incognito alla corte dell’imperatore, dicendogli:
«Con qualunque mezzo, tu devi riportarmi quelle pietre. Aguzza l’ingegno e non badare a spese».
Il gioielliere mise in valigia molte pietre di gran bella luce e si mosse. Come artigiano accreditato alla corte imperiale, cominciò ad incastonare le sue pietre: venivano i consiglieri di stato, e venivano i funzionari, e ammiravano i lavori. Lui, che era un vero esperto in lungimiranza, quando vedeva qualcuno che aveva un posto di rilievo alla corte, non vendeva: regalava. E di anelli ne regalò così tanti che la sua fama di grande perito arrivò fino alle orecchie dell’imperatore, che lo chiamò per una expertise delle sue gemme.

Riuscito così a penetrare la corte, fu chiesto di esaminare le gemme davanti all’imperatore sé stesso. Il gioielliere disse che erano belle, ma non speciali, e domandò se aveva di meglio. Allora l’imperatore fece portare proprio le pietre preziosissime che quello non vedeva l’ora di esaminare.
Il gioielliere ne prese una, la soppesò sul palmo della mano e disse tutto allegro:
«Questa pietra, maestà, vale quanto la più ricca città dell’impero».
E poi ne prese un’altra e disse:
«Questa, maestà, vale quanto la più ricca regione dell’impero».
E poi prese la terza e disse:
«Maestà, questa vale più di tutto l’impero», e poi chiuse il pugno attorno alle tre pietre e sparì.

Delle tre, una aveva il potere di rendere invisibili. E così lui ne scese tranquillamente per lo scalone del palazzo, tornò dal Prete Giovanni e gli presentò le tre pietre con grande gioia.

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