IX: Qui si stabilisce una nuova questione e sentenza che fu data in Alessandria

Ad Alessandria, la quale è in Romania (e dovrei distinguere perché di Alessandrie ce ne sono dodici, tutte fondate da Alessandro il Grande nel mese di marzo dell’anno in cui morì)… in quella Alessandria dell’Impero Bizantino, dunque, ci sono certe stradine dove tengono bottega gli arabi che vendono roba da mangiare già pronta, e la gente (come da noi si va in ricerca per i vestiti, da bottega in bottega in bottega) vaga alla ricerca della rosticceria dove le vivande sono le più buone e belle.

Un lunedì, mentre un cuoco arabo che si chiamava Fabrac era alla sua griglia, un povero arabo arrivò con un pezzo di pane in mano. Non aveva una lira per comprare niente, ma tenne il pezzo di pane sopra la griglia, intercettando il fumo che ne usciva. E farcito il pane del fumo che veniva dal cibo, gli diede un morso. Poi ripeté il procedimento fino a che se lo fu mangiato tutto.

Questo Fabrac non aveva venduto bene quella mattina. Sentì ingiuria e fastidio. Così prese questo povero saracino e gli disse:
«Pagami per questo! Ché tu hai preso del mio!».
Il povero rispose:
«Io non ho preso del tuo cibo altro che fumo».
«E di ciò che hai preso del mio, mi paga», diceva Fabrac.

E la fecero tanto lunga che la notizia della lite (perché era una questione così nuova e difficile a risolvere e non più mai avvenuta) giunse alle orecchie del Sultano. Il Sultano, di fronte ad una così nuova novità, radunò i saggi e mandò per questi due. Presentò il problema. I saggi arabi cominciarono a sottilizzare. C’era chi sosteneva che il fumo non era la proprietà del cuoco, e addiceva molti argomenti: «Il fumo non si può mangiare per alimentazione, non ha sostanza, e non ha proprietà che sia utile: non lo deve pagare». Altri dicevano: «Il fumo era unito in solido alle vivande, ed era in possesso del cuoco ed era anche generato dalla sua proprietà: lui per professione vende, e chi ne prende è di solito chi paga». C’erano molti ragionamenti e giudizi, e finalmente un consiglio fu dato al Sultano:
«Dato che alcuni fanno venditori per mestiere e altri fanno i compratori, Lei, giusto Signore, ordini che lui sia giustamente pagato per la sua merce, secondo il suo valore. Se per i suoi cibi (che vende insieme con le loro proprietà utili) riceve di solito i soldi utili, adesso che ha venduto fumo (che è la parte sottile e impalpabile che esce dal cibo) faccia suonare per terra una moneta, Signore, e giudichi che il pagamento sia fatto con il suono che esce di quella».

E il Sultano giudicò che si facesse così.

2 comments:

Michael Farina ha detto...

Come vi ho detto Il Novellino rappresenta una forte tradizione orale di “storytelling” in Italia: e per questo contiene i semi delle letteratura moderna. In questa storia sopratutto è evidente. Si può discernere le prime caratteristiche di una prosa letteraria che offre molteplici interpretazioni. Bello, no!?

È strano immaginare che queste novelle siano ancora raccontate oggi in Italia, ma la prima volta che ho sentito questa storia era da un contadino analfabeta nel 1995! Un pomeriggio durante la vendemmia, lui mi ha fatto ridere con questa storia mentre lavoravamo in campo (durante la raccolta per fare il vino).

Cinque anni dopo ha letto quasi la stessa storia in un corso sulle origini della letteratura!

È incredibile che la tradizione orale (rappresentata dal Novellino in forma scritta, come l’Iliade e l’Odissea rappresentano la tradizione orale omerica), sia ancora viva tra i contadini toscani! Lui aveva cambiato l’ambientazione dall’Alessandria antica a Firenze del Dopoguerra. C’erano invece coinvolti due cittadini fiorentini, due balconi di un condominio, e un magistrato sarcastico… ma la storia era pressoché identica!

Unknown ha detto...

Ho letto questo da bambina come favola del re Salomone.